La conoscenza di un territorio e dei suoi valori identitari costituisce non solo il fondamento di un sentimento di appartenenza per le comunità che vi risiedono, ma anche il presupposto per un reale apprezzamento e per una consapevolezza del valore, collettivo e individuale al tempo stesso, del patrimonio culturale locale, oltre che una condizione essenziale per la sua tutela e per la sua rinascita economica e sociale.

Knowing a country and its identity values is both the basis for a sense of belonging for local communities and the prerequisite for an appreciation and a true understanding of the single and collective importance of the cultural and territorial heritage. It is, moreover, the necessary condition to promote its protection and economic and social revival.

domenica 26 gennaio 2014

La Reggia di Carditello


Il Real Sito di Carditello, detto anche Reale tenuta di Carditello o Reggia di Carditello, in provincia di Caserta, venne creato nel 1744 da Carlo di Borbone, che vi aveva impiantato un allevamento di cavalli.
Faceva parte di un gruppo di 22 siti (tra i quali la Reggia di Caserta, la Reggia di Portici, la Reggia di Capodimonte e il Palazzo Reale di Napoli) della dinastia reale dei Borbone di Napoli, luoghi dedicati allo svago e alla caccia della famiglia reale - e chiamati per questo "Reale Delizia" -  talora sede anche di attività agricole, spesso impiantate con mezzi moderni, miranti a sperimentare delle fattorie-modello.
Ricevette nuovo sviluppo con Ferdinando IV, che vi introdusse - nel quadro dei suoi progetti sociali ed economici di stampo illuminista anteriori alla rivoluzione napoletana - l'allevamento dei bovini e la fabbricazione dei formaggi, incaricando l'architetto Francesco Collecini (1787), collaboratore di Luigi Vanvitelli, della costruzione di un grande complesso, comprendente una residenza reale e ambienti destinati ad azienda agricola.

Reggia di Carditello: la palazzina adibita a residenza reale




Lo spazio retrostante alla palazzina venne diviso in cinque cortili destinati alle attività agricole, mentre l'area antistante - riservata alle corse dei cavalli - fu risolta alla maniera di un antico circo romano: una pista in terra battuta, con i lati brevi semicircolari, che circonda un prato centrale; alle estremità due fontane con obelischi in marmo, al centro del prato un tempietto circolare, da cui il re assisteva agli spettacoli ippici.




Reggia di Carditello: il tempietto circolare




Reggia di Carditello: uno dei due obelischi


Nell'Archivio di Stato di Napoli nel fondo Dipendenze della Sommaria (fasc. nn. 69, 69II, 74, 74II) sono conservate ricevute di pagamento firmate e controfirmate dall'architetto Collecini "capitano ingegnere delle Reali fabbriche di Carditello" sino al 19 genn. 1804 (per la storia di Carditello v. anche: G. Starrabba - G.B. Rosso - S. Gavotti, Il "real sito" di Carditello, Caserta 1979).
La soluzione adottata per la reggia fu quella di un organismo a doppio T, rigorosamente simmetrico: al centro il casino reale - di nobili linee neoclassiche, coronato da una balaustra e da un belvedere - da cui partono i lunghi corpi bassi delle ali riservate all'azienda.

Reggia di Carditello: corpo di fabbrica adibito a fattoria


All’interno della palazzina si dipartono a destra e a sinistra due scale che portano al piano nobile, con decorazioni (affreschi e stucchi) che si richiamano all'arte venatoria di cui i Borbone erano appassionati. Dallo stesso piano nobile il re, la famiglia e i dignitari potevano, affacciati alle balaustre, seguire le funzioni celebrate nella Cappella sottostante, posta nella parte centrale, con cupola e pareti delicatamente affrescati. 
Fedele Fischetti, pittore napoletano, uno dei decoratori del palazzo reale di Caserta, nel 1791 eseguì alcuni affreschi nella volta del salone principale del Real Sito di Carditello, lavorandovi fin quasi alla morte, avvenuta a Napoli il 25 gennaio 1792. I soffitti sono di Giuseppe Cammarano, pittore siciliano, di Sciacca, considerato il principale esponente, insieme con C. Angelini, della pittura neoclassica napoletana, mentre il paesaggista prussiano Jakob Philipp Hackert, detto Hackert d'Italia, chiamato a Napoli  da re Ferdinando IV, decorò le pareti con scene campestri che rappresentavano la famiglia reale.
La maggior parte dei marmi e degli arredi che abbellivano la palazzina è stata sottratta negli anni e utilizzata in altri siti, solo una piccola parte si trova in musei o altre residenze reali.
Gli edifici circostanti, a suo tempo adibiti a magazzini e stalle, e tuttora contenenti antiche attrezzature agricole, a documentazione delle attività che vi si svolgevano, sono quasi tutti in stato di grave degrado. La reggia si trova in stato di abbandono, come pure  la parte residua della tenuta dopo che i 2000 ettari originari, che la circondavano, sono stati in massima parte venduti.

Il testo è tratto da: 
http://www.treccani.it/enciclopedia/real-sito-di-carditello/



La foresta di Carditello
Dettaglio della grande carta del cartografo olandese Blaeu 
(parte geografica riguardante il Basso e Medio Volturno, dal litorale fino al Lago Patria) 
dove è riportato il toponimo Cavallarizza e non Carditello

Willem Janszon Blaeu: Terra di Lavoro olim Campania Felix da Theatrum Orbis Terrarum, sive Atlas Novus in quo Tabulæ et Descriptiones Omnium Regionum Amsterdam, 1645 -1665
tratta da:
IL BACINO IDROGRAFICO DEL FIUME VOLTURNO E IL TERRITORIO DEI REGI LAGNI IN TERRA DI LAVORO

Chiesetta del '700 
"Tutto quillo territorio era giardino de’ Capuani et se chiamava mansio rosarum che al presente se chiama lo mazzone delle rose".
Era la seconda metà del ‘500 quando, l’ingegner Pietro Antonio Lettieri, così descriveva l’area di Carditello.
Incaricato da Don Pedro Álvarez de Toledo y Zuñiga, viceré di Napoli, per conto di Carlo V D’Asburgo, di localizzare i punti migliori del regno dove far sorgere i mulini individuava, nella magione delle rose, prodiga delle acque di Serino, il punto ideale per le macine ad acqua.
In uno degli angoli pensati dal Lettieri, in età successiva e per volere di Carlo III di Borbone, venne edificata una delicata chiesa di campagna.



Della piccola chiesetta settecentesca, di cui nessuno ha mai parlato, non si hanno molte informazioni circa la sua dedicazione pastorale o altro.

Ciò che di certo si conosce, è ciò che appare alla vista.

Nel panorama agreste originale, inviolato fino al ventennio fascista, quella chiesetta, incardinata in un percorso che si snodava all’interno dell’immensa foresta che circondava il Real Sito di Carditello, era punto di riferimento e luogo di preghiera per i numerosi lavoratori e contadini che prestavano opera nelle annesse terre della fattoria reale. 

Il testo è tratto da:
http://interno18.it/attualita/26066/una-chiesa-zona-militare-carditello-stupisce-ancora

Le foto sono di:
Salvatore Bertolino

mercoledì 22 gennaio 2014

Edicole sacre nel territorio di monte Massico


Sessa Aurunca: centro storico



Sessa Aurunca: via Seggetiello

C’è una preziosa ricchezza che caratterizza ancora oggi le stradine dei centri storici, dei borghi, dei casali o delle frazioni  del nostro territorio, quello tra “I fiumi Garigliano e Volturno” legata alla profonda tradizione religiosa dei nostri padri: l’edicola votiva o edicola sacra – a volte denominata semplicemente ‘a marunnella, qualunque sia l’immagine sacra in essa contenuta. Molto spesso è un manufatto di semplice fattura che protegge un’immagine sacra oggetto di culto lungo le strade, oppure sulle facciate delle case, nei cortili e lungo le strade di campagna. Esse sono parte integrante della storia delle nostre genti, del nostro passato e del nostro presente, frutto della più semplice spontaneità popolare, antiche quanto l'uomo, discrete, mai eclatanti.
Le edicole sacre custodiscono la storia, la tradizione, l'arte, l'architettura, la fede e la devozione e la loro riscoperta è elemento di sicuro interesse per contribuire alla valorizzazione del nostro territorio.





Sessa Aurunca: centro storico




Carinola: sotto la loggia di Palazzo Marzano



Sessa Aurunca: sulla strada tra Piedimonte e Carano



Sessa Aurunca: nel borgo di Valogno




Minturno: centro storico

Ha scritto Francesco Nigro nel suo ultimo volume “I rurece mise”: 
le edicole affondano le radici nelle tradizioni popolari del mondo rurale e sono una manifestazione della fede popolare. Si tratta di beni culturali che, anche se minori, meritano di essere salvaguardati e conservati, in quanto utile testimonianza della nostra storia e delle nostre tradizioni religiose.
 Attualmente molte edicole si trovano in uno stato di incuria. Occorre evitare che aspetti della fede religiosa di un tempo, di usi e costumi scompaiano nel più profondo oblio.

 


Francolise: nel borgo di Ciamprisco



Roccamonfina: contrada Giglioli




Roccamonfina: nel cortile del Santuario della Madonna dei Lattani




Francolise: in un vecchio manufatto borbonico lungo una strada di campagna

La  salvaguardia ed il recupero dei beni culturali non può limitarsi soltanto alla conservazione delle grandi opere d’arte o delle grandi costruzioni indicative di movimenti artistici del passato o di fasti di grosse casate o di principi e regnanti. Anche quanto è testimonianza dell’arte e della cultura popolare deve essere protetto e recuperato, altrimenti un ricco e vasto patrimonio della nostra “storia” rischia di scomparire.




Sessa Aurunca: San Venditto, appena prima del borgo di San Castrese

Le ho cercate e, continuamente, le cerco nelle nostre contrade, per i vicoli e le strette strade, per i borghi ed i casali di Mondragone, Sessa Aurunca, Roccamonfina, Carinola, Francolise e Minturno, a volte tra lo sguardo infastidito o incuriosito della gente del posto,  le cerco sulle facciate delle case, sotto gli androni, nei portoni aperti, davanti o accanto alle chiese, nelle piazze e negli slarghi.
È un lavoro piacevole, ripagato dallo scoprire o riscoprire  edicole votive e dal constatare quanto c’è ancora di bello in luoghi impensabili e quanto sia stata grande la devozione dei nostri antenati.

Ve ne propongo in questo articolo solo alcune, altre le potrete trovare in una community "Edicole sacre e chiese di campagna" insieme a tante altre che tanti amici stanno proponendo da tutta Italia:

https://plus.google.com/u/0/communities/102404233010761912007



Carinola: nella frazione di Casanova



Minturno: centro storico



Sessa Aurunca: sotto un androne in corso Lucilio




Mondragone: rione Amedeo



Sessa Aurunca: centro storico

lunedì 20 gennaio 2014

Il Seminario della diocesi di Calvi. Un gioiello del '700 ...


Antica Cales. Seminario apostolico: finestra sopra il portone di ingresso
E' visibile la targa commerativa del vescovo Zurlo 1771

L’antico seminario apostolico di Calvi Risorta, un gioiello del 1700 inaugurato dal papa Benedetto XIII il 16 maggio 1727, mentre da Benevento rientrava a Roma, motivo per il quale gli venne attribuito il titolo di «apostolico», sorge lungo la via Casilina nei pressi dell’insediamento di origine ausone e poi romano conosciuto come Antica Cales.
Il caseggiato fu comprato dal vescovo Filippo Positano, nel 1721, per 500 ducati, e altri 300 ne furono spesi per lavori di riadattamento. Arrivò ad ospitare una settantina di alunni, maestri e lettori  nei suoi ambienti costituiti da un salone, il refettorio, due scuole, la cucina, le camerate e la cappella.
Un complesso di grande valore che fu persino «altare privilegiato in perpetuo» (ossia un luogo in cui vi si celebra la Santa Messa con Indulgenza Plenaria), del quale, purtroppo non è rimasta alcuna traccia.

Il palazzo fu ingrandito dal vescovo Giuseppe Zurlo affinché fosse ampia dimora della gioventù consacrata.
 Mons. Giuseppe Maria Capece Zurlo (1756-1782), divenuto poi Arcivescovo-Cardinale di Napoli, fece così mirabilmente rifiorire il Seminario nella scienza e nella pietà che, stando alle cronache del tempo, il Seminario di Calvi poteva ben definirsi l'albergo delle Scienze e delle Muse.


D O M
APOSTOLICUM
VETUSTISSIMAE CALENAE URBIS
SEMINARIUM
HAEC DOMUS UT SACRAE SEDES
FORET AMPIA JUVENTAE
JOSEPHO ZURLO PRAESULE ADAUCTA
FUIT
A.D. MDCCXXI
Oggi la struttura è invasa dalla vegetazione, nel cortile interno sono cresciuti veri e propri alberi, e con le travi che la rendono appena praticabile, all’interno buche, frane e muri rotti».
Non risulta più in sito l’antica lapide marmorea che riportava la data di fondazione: «Una volta alla settimana il medesimo Filippo (Positano) lo provvide di annue rendite e pago nei suoi voti, compì a perfezione i suoi doveri. Il Capitolo di Calvi a così insigne presule e tanto ricco di meriti per gli innumerevoli benefici verso la chiesa, questo monumento pose. Anno dell’Era cristiana 1727».al contrario è ancora posizionata sopra l'ingresso principale la targa in marmo relativa ai lavori di ingrandimento del vescovo Zurlo.

Chissà dove sono i vecchi confessionali e i legni che formavano l’antico coro del '700 dove pregavano gli otto canonici caleni?

Un tesoro da riportare assolutamente all’antico splendore.

Antica Cales. Seminario apostolico


Antica Cales. Seminario apostolico: portone di ingresso